venerdì 16 settembre 2016

AMBIENTE QUALITÀ E PROFITTI: DAL CASO EATALY ALLA VALDCHIANA

Oscar Farinetti è considerato un grande imprenditore, uno capace di guardare al futuro. La sua creatura, Eataly, “un brand che oggi vale 300 milioni di euro” si è imposta in pochi anni alla attenzione dei mercati, trovando sostenitori entusiasti nel mondo dell’impresa e della politica. Che cosa è Eataly?  Com’è spiegato nel sito web “Eataly è mangiare italiano, vivere italiano. Il nostro obiettivo è dimostrare che l'alta qualità dell'enogastronomia italiana è alla portata di tutti”.

Tutto bello, peccato che queste premesse entrino in rotta di collisione con quanto affermato in un’intervista dallo stesso Farinetti: “Per fare pasta di alta qualità serve grano duro che in Italia è difficile trovare”. Questa è la ragione per cui per cui Eataly compra materia prima anche all’estero, in Canada e Usa, dove, sempre a detta del patron «non c’è paragone a livello qualitativo”.
Questa dichiarazione ha suscitato un mare di polemiche perché parrebbe contrastare con la filosofia dell’azienda. Infatti, come la filosofia kantiana non può prescindere dalle “categorie”, cosi Eataly non può fare a meno dalle materie prime prodotte in Italia. Altrimenti il mangiare italiano, tanto per rimanere in tema, va a frasi friggere.

Da buon imprenditore Farinetti ha reagito con i numeri: “In Italia produciamo 4 milioni di tonnellate di grano l’anno. Ma ce ne servono tra 7 e 8. Per fortuna, perché significa che vendiamo molta pasta nel mondo. Il risultato però è che dobbiamo importarlo per forza. E non solo per un problema di quantità. Il nostro Paese è troppo piccolo, ha solo lo 0,2% delle terre emerse e appena 14 milioni di ettari coltivabili. Ci sono aree più vocate di noi ai cereali come Canada, Australia e Usa dove si riesce a fare coltura intensiva di buona qualità che dà granella con più proteine e glutine e meno ceneri, quello che serve per rendere la pasta elastica e tenerla al dente”.
Insomma la scelta di rifornirsi all’estero sarebbe dovuta, essenzialmente, alla carenza di materia prima e una qualità migliore del prodotto. Alla domanda se il grano italiano sia peggiore il Patron di Eataly ha risposto: “No. Tutt’altro. Da noi ci sono molte produzioni di altissima qualità. Eataly confeziona paste fatte al 100% con materia prima tricolore, eccellente. I contadini fanno bene a lamentarsi perché il grano è pagato una miseria. La soluzione a questo problema però non è il protezionismo, ma lavorare sulla qualità, valorizzando la biodiversità garantita dalla posizione felice del nostro territorio”.
E più sotto dichiara “non possiamo metterci a far concorrenza alla coltura intensiva: gli agricoltori devono pensare a seminare cultivar antichi e trattarli in modo biologico. Guadagnerebbero molto di più anche con minor resa dei campi”.
Se queste sono le motivazioni noi, crediamo, che qua e là ci sia qualche crepa. Per esempio non si può affermare che in Italia mancano le terre coltivabili e allo stesso tempo affermare che il grano ai contadini è pagato una miseria. Da che mondo e mondo quando c’è mancanza di prodotto, i prezzi tendono a salire. Non in questo caso perché? Perché l’Italia piccola e oblunga non può competere (sui prezzi) con le agricolture di paesi che hanno grandi estensioni, quindi come sempre è solo e soltanto una questione di costi e ricavi.
Per esempio quest’anno la produzione in ambito nazionale è stata di buona qualità per cui il crollo del prezzo dei cereali, compreso il grano duro, è da attribuirsi solo a motivi speculativi. Movimenti affaristici dovuti al fatto che ormai siamo dentro un mercato globale di cui anche Eataly fa parte. Basterebbe pagare di più i nostri agricoltori per vedere un aumento delle produzioni e una filiera tutta italiana.
E’ arrivata l’ora di smettere di giocare con le parole. Quando si suggerisce agli agricoltori italiani di specializzarsi su antiche colture trattate in modo biologico si decreta la fine della agricoltura italiana, riservandogli una posizione di nicchia anche all’interno dello stesso mercato nazionale.
Tutto questo ragionamento ci serve per dire che non esistono anime innocenti che guardano alla qualità rinunciando a una fetta di profitto. Il profitto, com’è normale che sia in un’economia di mercato, è la chiave di volta di ogni decisone.
Sarà per questo che ci fanno orrore le semplificazioni, i convegni sponsorizzati, l’uso di parole pesanti come “ambiente”, “salute”, “biodiversità” per giustificare scelte imprenditoriali che guardano unicamente al guadagno e la salvaguardia dell’ecosistema diventa l’arma da brandire sulla testa di altre imprese.
Già da tempo abbiamo sollevato la necessità di approfondire la proposta del distretto biologico in Valdichiana, liberandola dalle pastoie ideologiche e dalle promesse di centinaia di posti di lavoro. In troppi ne parlano senza riflettere sulle ricadute di tipo economico e sociale. La verità è che ormai si rischia che le decisioni sul governo del territorio le prendano i grandi gruppi economici, per i quali l’ambiente diventa un affare e non un’opportunità di crescita per tutti. Tirate le somme e poi vedrete come certe proposte rischiano di distruggere il sistema delle piccole imprese agricole senza avere nulla in cambio. Ma su questo, anche a livello politico, tutto tace.







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