Giachetti,
candidato PD al Comune di Roma e l’ineffabile Serracchiani, si sono arrabbiati
perché la signora Raggi, candidata a Sindaco della capitale per conto del movimento
5 stelle, ha dichiarato che ci sarà uno staff composto dai garanti del
Movimento “che dovrà dare un'approvazione preventiva alle nomine del sindaco”. L'avvocatessa
ha precisato che "si tratta di uno
staff tecnico legale coordinato dai garanti. Avvocati che ci aiutano, per
esempio, a fare ricerche legali sulle persone da nominare".
Noi non comprendiamo il motivo
dell’incazzatura di Giachetti e della Serracchiani, siamo, infatti, dell’avviso
che dentro un quadro di regole generali, quelle stabilite dal secondo comma
dell'articolo 97 della Costituzione:« I pubblici uffici sono organizzati
secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e
l'imparzialità dell'amministrazione » ogni azione è ammessa.
Attraversiamo tempi singolari: da
una parte si accusa i pentastellati di essere scarsamente democratici (cosa
vera, perché la rete non è di per se una garanzia), dall’altro si accusa la
Raggi di volersi far affiancare nel lavoro quotidiano di Sindaco da “garanti
della legalità” venendo meno al ruolo decisionale (monocratico) che spetta la
Sindaco.
Il problema è che né Giachetti né
la Serracchiani affrontano uno dei nodi che oggi stringono come un cappio la
politica. Nodo che invece Renzi sembra aver chiaro, e cioè che la complessità richiede,
per essere governata, la semplificazione delle decisioni. Rileggersi Guglielmo
di Ockham, invece di Topolino, non farebbe male.
Semplificare vuol dire restringere
i tempi e soprattutto decidere. Perciò chiedere a un partito di essere democratico,
nel senso letterale della parola, è una contraddizione di termini. Si deve
discutere ma poi alla fine la “dittatura” della maggioranza prevale. Altra cosa
è quando questo tema si trasferisce nelle Istituzioni. La questione è più
complicata, non a caso si prevedono pesi e contrappesi per impedire una degenerazione.
Però occorre tenere conto di un fatto: la democrazia è essenzialmente delega a
qualcun altro. Questo processo avviene con il voto. Su quali basi? Sulla base
di un’ idea, di un programma, di un sentimento, di un interesse. Pensare, come
crede qualcuno, di ridurre tutto alla pura arte del governo sbaglia. Chi è
incapace di suscitare passioni (anche negative) difficilmente sarà in grado di
conquistare il cuore e le menti degli elettori i quali, alla fine, con tutti i
loro difettacci, sono quelli che decidono della vita e della morte politica di
chi governa.
Per questo le polemiche sulla Raggi
sono inutili, se i cittadini romani decideranno di dargli le chiavi della città
è nel diritto di decidere cosa fare. Vuole essere affiancata dai garanti? Lo
faccia, si dimette se lo chiede Grillo? Benissimo. Vuol licenziare metà dei manager?
Affari suoi. I romani sanno a cosa vanno incontro e se la votano vuol dire che
gli sta bene così. Noi al contrario rimaniamo convinti che la vecchia politica,
fatta di compromessi, lurida e fetente è sempre meglio del giacobinismo che
taglia teste ma non risolve i problemi.
Se però la maggioranza dei
cittadini decide che i populisti di ogni risma hanno diritto di governare non
possiamo che alzare le braccia: questa è democrazia. Ciò non significa però mettere
volontariamente la testa sul ceppo senza lottare.
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